Cosa coltiviamo

Nel nostro campo si coltiva e si cura la terra come una volta. Si semina, si raccoglie e si trasforma il raccolto con metodi biologici.

sgranatore

Riscoperta

I grani del passato

L’autenticità, le origini, l’amore per la biodiversità, la sostenibilità hanno spinto BioFan a ricercare prodotti agricoli del passato.

Ogni giorno mangiamo pane e pasta che sono anche i simboli del made in Italy, ma con quali grani sono fatti? Spesso si tratta di farine di bassa qualità con grani importati, nonostante sul territorio italiano sia possibile coltivare grani con alto valore nutritivo.
Verna e Gentilrosso sono solo alcuni dei grani che si coltivavano in Italia ed in Pianura Padana già alla fine dell’Ottocento. La riscoperta dei frumenti antichi da parte di consumatori e agricoltori è una vera rivoluzione che assicura vantaggi per la salute e la biodiversità delle campagne.

Per tutte queste ragioni i nostri primi raccolti sono ispirati ai grani ed ai mais del passato.

I Grani Antichi BioFan

Dalla selezione delle sementi alla farina

I frumenti selezionati sono un miscuglio di grani teneri di antica costituzione, un prezioso patrimonio di biodiversità da preservare.

Nel nostro miscuglio ne abbiamo scelti 5 a taglia alta: Andriolo, Inallettabile, Verna, Gentil Rosso e Frassineto.

chi siamo

Gentil Rosso

Questo grano antico deve il suo nome alla sfumatura rossiccia che le sue spighe assumono quando sono mature. Ricche di proteine, ma a basso contenuto di glutine, le farine di Gentil Rosso sono ideali nella produzione di pane, pizza e focacce.

Verna

Questo grano tenero di origine toscana, largamente utilizzato in passato, è stato riscoperto negli ultimi anni e apprezzato per le sue proprietà nutrizionali. Macinato a pietra, produce farine indicate nella panificazione.

Inallettabile

Chiamato così perché meno incline all’allettamento, questo grano tenero è diffuso in Emilia e in Toscana. Le farine di Inallettabile vengono utilizzate soprattutto nella produzione di pane toscano

Andriolo

Grano antico a semina autunnale, diffuso in passato nel territorio toscano. Ha spighe piccole e robuste, resistenti all’allettamento, e chicchi rossicci. Le farine di Andriolo sono ricche di polifenoli, che svolgono un’importante funzione antiossidante.

Frassineto

Grano antico dalle spighe alte, particolarmente soggetto all’allettamento in caso di temporali o vento forte. Povero di glutine, ma con una percentuale consistente di proteine, rende i prodotti più digeribili e assimilabili.

La semina di questi grani avviene tra la fine di Ottobre e gli inizi di Novembre in terreni lavorati con concimi naturali (abbiamo sovesciato il terreno con facelia e grano saraceno per renderlo più fertile) e senza l’uso di diserbanti. Trattandosi di varietà rustiche non richiedono, durante la coltivazione, altre lavorazioni ed essendo le spighe alte circa 1,60 m la crescita delle infestanti è molto contenuta.

Il ciclo della coltura si completa in 240 (8 mesi) giorni. Quando il grano è maturo, ha assunto un colore giallo scuro/rossastro, si procede alla raccolta ed all’immagazzinamento per alcune settimane. A fine settembre si portano i grani presso l’Antico Mulino Cadonega di Viano (RE) per la macinatura a pietra. La macinatura con pietra di grosse dimensioni ed un accurato controllo della temperatura della farina in fase molitoria, consentono di mantenere intatte le proprietà benefiche del chicco esaltandone ancora di più le qualità organolettiche

I mais Antichi BioFan

Selezione dei chicchi e coltivazione

I Mais che abbiamo selezionato sono frutto di ricerche fatte con agronomi e produttori emiliani. Questi studi ci hanno portato ad individuare e seminare nel nostro campo, dopo la preparazione del terreno di oltre un anno, alcune varietà presenti in Emilia ed in Toscana tra la fine dell’800 ed il secondo dopoguerra

chi siamo

Mais cinquantino

Reggio Emilia

mais ustenia gialla

Ustneina Gialla

Piacenza

Formenton 8 file rosso

Formenton 8 file rosso

Lucca

La semina di questi mais avviene tra la fine di Aprile e l’inizio di Maggio in terreni lavorati con concimi naturali (abbiamo sovesciato il terreno con facelia e grano saraceno per renderlo più fertile) e senza l’uso di diserbanti. Trattandosi di varietà rustiche non richiedono, durante la coltivazione, grandi quantità di acqua.

Il ciclo della coltura si completa in 120 giorni e la raccolta è completamente manuale, in modo da poter effettuare una scelta accurata. L’essiccazione delle pannocchie è anch’essa naturale e non vengono assolutamente usate sorgenti artificiali di calore che ridurrebbero sensibilmente le qualità organolettiche delle farine.

Quando le pannocchie sono essiccate vengono sgranate a mano ed i semi vengono lasciati sui teli in luoghi asciutti ad essiccare ulteriormente; la macinatura è effettuata con mulini a pietra. Questo tipo di macinatura, essendo molto lenta, esalta ancor di più le qualità organolettiche delle farine.

La resa produttiva bassissima (16 – 18 quintali all’ettaro contro i 130 – 150 quintali all’ettaro dei moderni ibridi di mais). L’impegno che richiedono le operazioni prevalentemente manuali di coltivazione e raccolte e quelle naturali di preparazione per la successiva macinatura, lo rendono una produzione di super nicchia e di altissima qualità. 

Il farro BioFan

Farro monococco o enkir

Il farro monococco, o enkir, è un cereale antico che può essere consumato sotto forma di chicchi o di farina.

Ha rappresentato l’alimento base dei Romani per secoli ed è coltivato fin dai tempi antichi per le sue caratteristiche di resistenza e adattabilità: il farro monococco infatti cresce bene anche in terreni poveri e resiste alle temperature rigide.

chi siamo

Farro monococco: proprietà

Dal punto di vista nutrizionale, il farro monococco è un cereale particolarmente ricco di proteine, oltre che di carboidrati e fibre. 

Il farro contiene inoltre vitamine, tra cui carotenoidi e tocoferoli, e minerali, in particolare zincoferro e manganese.
Il farro monococco sembra non contenere le sequenze amminoacidiche responsabili della celiachia, ma il suo consumo non è indicato per le persone intolleranti al glutine.

I chicchi di farro monococco si consumano previa cottura (20 min) e si utilizzano per preparare minestre, zuppe e insalate.

La farina di farro, che si ottiene dalla macinazione dei chicchi, è invece utilizzata per realizzare paste fresche o essiccate al pari del frumento, oppure pane e prodotti da forno.

Le proprietà antiossidanti del farro monococco

Nel confronto con una varietà di frumento tenero, il farro monococco presenta:

  • Un contenuto proteico superiore
  • Un più elevato contenuto di ceneri e microelementi
    (ferro, zinco, magnesio, fosforo, potassio ecc.)
  • Una bassa presenza di acidi grassi saturi
  • Un minor contenuto in amido e una migliore digeribilità
  • Una più elevata presenza di antiossidanti e pigmenti gialli
    (carotenoidi, tra cui il beta-carotene, precursore della vitamina A)
  • Un più alto contenuto di tocoferoli (vitamina E)

Grano Saragolla

Un cereale italiano sano e nutriente

Il grano saragolla non è un cereale molto conosciuto, né molto coltivato in Italia. Chi conosce le sue proprietà, però, si rende conto che assomigliano molto a quelle di un altro alimento, da qualche anno molto di moda sulle nostre tavole.

chi siamo

Un mito da sfatare

Molti credono che il Kamut® sia una varietà di grano di qualità superiore a quello tradizionale per apporto energetico e minerali contenuti. Kamut in realtà è il nome di un’azienda statunitense che nel 1989, con un’abile operazione di marketing, ha messo il cappello sul grano della sottospecie turanicum della varietà di khorasan (Triticum turgidum il nome scientifico), chiamato così dalla regione dell’Iran dove fu scoperto. Il khorasan è infatti una varietà specifica, che contiene dal 12% al 18% di proteine, è ricca in selenio, magnesio e zinco e ha un glutine più destrutturato e quindi più digeribile. È stato coltivato per secoli in Anatolia, Egitto (era anche conosciuto come “grano del Faraone” e il fondatore della Kamut prese il nome dal suono di un geroglifico) e in Mesopotamia.

Origini balcaniche

Un’altra varietà del khorasan è il grano saragolla (Triticum turgidum ssp. durum), che fu introdotto nell’Italia centrale da popolazioni balcaniche di origine medio-orientale nel 400 d.C.: il termine saragolla, infatti, deriverebbe dal bulgaro antico, dove significava “chicco giallo”. Il declino del grano saragolla comincia alla fine del ‘700 quando le conquiste coloniali e l’incremento demografico provocano l’importazione di grani duri molto produttivi dal Nord Africa e dal Medio Oriente e questa varietà rimase la più coltivata solo nel versante adriatico del centro Italia: l’ibridazione delle spighe, messa in atto all’inizio del XX secolo, ha accentuato la sua emarginazione. Attualmente il saragolla sopravvive solo in determinate aree dell’Abruzzo, del Sannio e della Lucania, grazie all’opera di singoli contadini che hanno continuato a seminarlo. Quella che si trova in commercio è la versione nanizzata, brevettata negli anni ’60.

Perché fa così bene

Il grano saragolla, come tutti quelli della famiglia khorasan è nutriente, salutare e altamente digeribile. È particolarmente apprezzato dagli intolleranti ai prodotti del grano comune per la sua bassa quantità di glutine (non ne è privo, quindi non è comunque adatto ai celiaci). Al contrario, ha un alto contenuto di selenio e beta carotene, eccellenti antiossidanti. Di recente, un team di ricercatori dell’Università di Firenze in collaborazione con l’Azienda Ospedaliero-Universitaria Careggi ha rilevato come consumare prodotti a base di khorasan riduca i fattori di rischio cardiovascolare come il colesterolo totale, il colesterolo LDL e la glicemia, oltre a risultare meno dannoso per l’apparato intestinale. Motivi in più per mettere in tavola il grano saragolla: una scelta sana, gustosa e a chilometro zero.

Un po’ di storia

I grani antichi

Il termine grani antichi in realtà non ha una definizione scientifica precisa e univoca. Si intende, in linea di massima, qualunque varietà/ecotipo/razza locale di frumento che presenti almeno una delle seguenti caratteristiche: a) taglia alta (non nanizzato); b) non selezionato per composizione in gliadine e glutenine e con glutine debole (W<100). In questa definizione è possibile far rientrare grosso modo tutte le specie definite ancestrali del frumento tenero e duro, nonché le varietà/ecotipi di frumento tenero e duro selezionate prima degli anni ’50-’60.

Per quanto riguarda i cosiddetti ancestrali, si deve considerare che l’uomo ha cominciato a coltivare circa 15.000 anni fa. Uno dei centri mondiali, in cui l’uomo ha compiuto questo importantissimo passaggio verso la civilizzazione, si trova nell’area definita della cosiddetta Mezza Luna Fertile, che si trova tra Israele, Giordania, Siria, Iran e Iraq. In questa area crescono ancora spontanei i cosiddetti progenitori degli attuali frumenti coltivati.

L’uomo probabilmente già raccoglieva i semi di queste specie spontanee, come integrazione alla dieta, forse da migliaia di anni prima dell’inizio della vera e propria “rivoluzione agricola”, ancora in piena era paleolitica. Durante il periodo di transizione da una vita nomade o semi-nomade ad una vita stanziale, l’uomo ha cominciato non solo a raccogliere i semi di questi progenitori, ma anche a seminarli, e, cosa ancora più rilevante, a selezionare “genotipi” di queste specie, che potessero rispondere alla sue esigenze (ad esempio spiga non fragile, alto numero di spighette, cariossidi ben riempite, etc.).

Questo processo di selezione ha portato alle prime domesticazioni, ovvero dalla selezione operata sul Triticum beoticum è stato ottenuto il farro piccolo (Triticum monococcum), da quella operata sul Triticum araraticum è stato selezionato il Triticum timopheevi e da quella operata sul Triticum dicoccoides si è selezionato il farro medio o dei romani (Triticum dicoccum). L’uomo poi non si limitò al solo lavoro di selezione ma probabilmente operò anche nuovi incroci: dall’incrocio tra il farro medio con l’Aegilops squarrosa venne creato il primo frumento esaploide, ovvero il farro grande o Triticum spelta.

Per quanto riguarda le varietà/ecotipi pre-rivoluzione verde o di antica costituzione, si deve fare una distinzione tra le cosiddette varietà locali e le varietà selezionate.

 Le varietà locali comprendono un insieme di diversi ecotipi per lungo tempo coltivati dagli agricoltori italiani, i quali oltre che ad auto-riprodurre il seme, spesso operavano una sorta di selezione massale sul materiale da avviare alla semina dell’anno successivo. Una selezione probabilmente più “inconscia” che non “cosciente”, che probabilmente di anno in anno poteva essere operata seguendo anche differenti criteri ed obiettivi. Queste varietà locali sono caratterizzate da una elevata variabilità genetica. Un tipico esempio è il Gentil Rosso.

 Per quanto riguarda le varietà selezionate, si fa riferimento a tutte quelle varietà ottenute tramite una attività “voluta” di miglioramento genetico. Il vero e proprio “miglioramento genetico”, in forma organizzata, ha cominciato ad affermarsi sul finire dell’Ottocento, quando in diverse Nazioni, alcuni agronomi hanno cominciato a sviluppare veri e propri “piani di incrocio”, allo scopo di ottenere varietà che presentassero ben definiti caratteri morfologici e fisiologici: si tratta ovviamente di popolazioni decisamente più omogenee rispetto alle classiche varietà locali.  Queste varietà selezionate sono anche definibili come cultivar o varietà migliorate.

 Il materiale attualmente disponibile di queste varietà selezionate prima della Rivoluzione Verde è riferibile a collezioni di genotipi selezionati da quattro maestri Italiani del miglioramento genetico: 1) Francesco Todaro (1864-1950); 2) Nazareno Strampelli (1866-1942) ; 3) Marco Michahelles (selezioni anni ’30-’50); 4) Marco Gasparini (selezioni anni ’50-’60).

 

Un po’ di storia

Alle origini del mais

Il mais (Zea mays L.) fa parte della grande famiglia delle Poaceae (Gramineae). La parola deriva da Zea che in greco significa “vivere” e mays, riconducibile alla parola indiana mahiz o marisi che vuol dire “pane di vita”. Le origini di questo alimento sono antichissime. In base a reperti fossili si pensa che questo gruppo derivi da un ancestrale comune di 55-70 milioni di anni fa, epoca vicina alla fine del regno dei dinosauri.

Il mais è stato probabilmente “addomesticato” per la prima volta in Messico circa 7.000-9.000 anni fa, da qui razze molto primitive si diffusero in Centro e Sudamerica e in seguito anche in Nordamerica. Ne sono testimonianza i granuli di polline, recuperati dai depositi lacustri del Messico e datati 80.000 a.C., che attestano la presenza degli antenati di questo prodotto in epoca pre-agricola. La specie Zea mays L. è nota in Italia da 500 anni come formentone, granturco o melinga e comprende numerose forme coltivate, grazie ad un lungo processo evolutivo che, negli ultimi 7.000-10.000 anni, l’uomo ha potuto orientare e manovrare in funzione degli specifici ambienti e delle diverse esigenze culturali.

Le prime notizie ufficiali di coltivazioni di granturco però, arrivano grazie al diario di bordo di Cristoforo Colombo consegnato ai Reali di Spagna. Secondo questo documento, andato poi disperso e pervenuto nelle versioni di Bartolomé de las Casas e Ferdinando Colombo, nel 1492 vicino all’isola Fernandina l’Ammiraglio prelevò molti campioni di semi di mais, all’epoca sconosciuti, per poi portarli ai Reali di Spagna. Da qui esemplari di granturco giunsero dal Nuovo Mondo in Portogallo, in Spagna, alla Sede Pontificia in Roma e di lì ai principi italiani progressisti.

L’arrivo in Europa

Il 13 Novembre 1493 Pietro Martire d’Anghiera scrive al cardinale Sforza: «Fanno pane con poca differenza di un certo grano farinoso…. i grani sono mirabilmente disposti per natura: per forma e dimensioni somigliano al cece. Immaturi sono bianchi: quando maturano divengono molto neri; macinati sono più bianchi della neve. A questo tipo di grano danno nome di mais.»

Il 29 Aprile 1494 Pietro Martire d’Anghiera scrive al cardinale Sforza: «Se ti interessa, Principe illustrissimo, assaggiare il grano…ti invio sementi di tutte le speci. Ancora, il portatore, ti darà in mio nome certi grani bianchi e neri del grano con il quale fanno il pane (maiz).»

Coltivato in Italia dal 1530-40 (Napoli) e 1554 Polesine-Veronese, nel 1649 Milano dispone il commercio del mais durante la carenza di altri grani;

Con la carestia 1677-78 la coltura si diffonde in Lombardia. In Emilia Romagna il mais arriva nel XVII secolo: 1636 a Bologna, citato come specie ortiva

Il ruolo dell’Italia nella diffusione del mais in Europa fu di grande rilievo, sviluppando una rete commerciale che ebbe come centro i porti italiani e che influenzò direttamente il processo di diffusione del cereale. 

storia e scienza

Le caratteristiche del farro monococco

Il farro monococco è un cereale progenitore dell’attuale frumento, appartenente al genere Triticum, di cui esistono diverse varietà raggruppate in base al livello di ploidi: il farro monococco è un frumento diploide.  

 

Il nome scientifico è Triticum monococcum ed conosciuto anche come farro piccolo vestito.

Il farro monococco ha rappresentato l’alimento base dei Romani per secoli ed è coltivato fin dai tempi antichi per le sue caratteristiche di resistenza e adattabilità: il farro monococco infatti cresce bene anche in terreni poveri e resiste alle temperature rigide.

Dal farro si ottiene una farina dal colore giallo, dovuto all’alta concentrazione di carotenoidi. Con la farina di farro è possibile preparare pane, prodotti lievitati e pasta. 

Il farro monococco in cucina

La farina di farro monococco presenta ottime caratteristiche per dolci, pane, pizza e altri prodotti da forno.

Essendo il glutine meno tenace rispetto a quello del frumento tenero, l’impasto ottenuto con farina di farro monococco risulta meno elastico, più friabile e quindi più adatto alla realizzazione di paste frolle e impasti per biscotti, pasticcini e crostate.

Grazie a queste proprietà, per ottenere un buon impasto friabile servono generalmente meno grassi rispetto a quelli che si utilizzerebbero con la farina di frumento.

L’alto contenuto di pigmenti carotenoidi inoltre dona all’impasto una spiccata colorazione gialla.

nutriente, salutare e altamente digeribile

Trafilatura al bronzo: cosa significa

Il parere della nutrizionista

Quando si parla di pasta, cosa significa esattamente trafilatura al bronzo? E perché conviene optare per questa scelta? Scopriamolo insieme in questo articolo scritto dalla nostra nutrizionista.
La trafilatura è una fase fondamentale del processo produttivo della pasta e può fare davvero la differenza nella qualità dei piatti che portiamo in tavola.
Il processo della trafilatura consiste nel far passare l’impasto composto da farina di semola di grano duro e acqua, tramite compressione (estrusione), nella filiera o matrice (sagoma) per farlo fuoriuscire nei vari formati scelti.
Uscendo dai fori sagomati della filiera o matrice, la pasta viene tagliata da lame rotanti, definendone così, oltre alla forma e alla grandezza, anche la lunghezza.
Trafilare la pasta ne definisce la struttura, la rugosità, la colorazione e la porosità: 4 caratteristiche che vedremo essere fondamentali per la qualità nutrizionale e organolettica del prodotto finale.
Ma la trafilatura non è tutta uguale, o meglio, cambia molto a seconda del materiale con cui sono fatte le matrici, che possono essere di due tipi: in bronzo o in teflon.

Trafilatura al teflon

Dalla trafilatura con matrice in teflon si ottiene una pasta liscia che trattiene meno i condimenti e che, a causa delle alte temperature di essiccazione (maggiori di quelle utilizzate dopo la trafilatura al bronzo) e della qualità della semola, che mediamente è inferiore, ha valori nutrizionali più bassi.

Del resto, una semola di scarsa qualità non tollererebbe la trafilatura al bronzo. La pasta così ottenuta ha sicuramente un prezzo più basso ed è quindi più economica, anche per il tempo minore che occorre per produrla.

Trafilatura al bronzo

La trafilatura al bronzo, invece, presuppone l’utilizzo, come già anticipato, di semole qualitativamente migliori, in grado di sostenere il processo.

Da questo metodo ne deriva una pasta che è più ruvida e porosa e dunque trattiene meglio i condimenti, dando ai nostri piatti un gusto nettamente diverso, più omogeneo e intenso.La pasta trafilata al bronzo ha una colorazione opaca, un quantitativo di proteine del 12-13% per 100 grammi di prodotto e mantiene di più sali minerali e vitamine.

Quest’ultima caratteristica è garantita dall’essiccazione che deve necessariamente essere fatta a bassissime temperature e per lungo tempo.

Tutti questi elementi garantiscono alla pasta trafilata al bronzo un sapore superiore rispetto ad altre tipologie ottenute diversamente.

Vale dunque il famoso detto “meglio poco ma buono”, sia dal punto di vista nutrizionale che organolettico, dato che mangiare un buon piatto di pasta trafilata al bronzo appaga molto di più e di conseguenza se ne può mangiare anche meno.

Inoltre, per chi ha necessità di ridurre o controllare la quantità di pasta, è una vera e propria risorsa: anche condita in modo sano con pochi e semplici ingredienti risulta gradevole e saziante, permettendo di risparmiare grassi e calorie.

Le proprietà nutrizionali della pasta di semola di grano duro

Ora che abbiamo compreso meglio perché la trafilatura al bronzo è la scelta migliore quando si parla di pasta di semola di grano duro, spostiamo un attimo il focus sulle sue proprietà nutrizionali, mantenute anche grazie a questo metodo di trafilatura.

Riassumendo, sono 6 le principali proprietà nutrizionali da cui possiamo trarre beneficio. Nello specifico, la pasta di semola di grado duro è:

  1. Ricca di fibra alimentare,

    fondamentale per il senso di sazietà e per la regolarità intestinale;

  2. Ricca di carboidrati complessi,

    importante fonte di energia;

  3. Apportatrice di proteine di elevato valore biologico;
  4. Ricca di sali minerali,

    come ferro, fosforo e potassio;

  5. Ricca di vitamine del gruppo B e la vitamina PP;
  6. Ricca di carotenoidi,

    utili per contrastare l’azione dei radicali liberi.

Il grano tenero e quello duro sono due tipi di frumento diverso, dal primo ne deriva la farina bianca che può essere di tipo 00, 0, 1, 2 e quella integrale, dal secondo la semola.

La semola di grano duro ha un colore giallo-arancio dato dai carotenoidi che contiene, ha una grana grezza, e dalla sua unione con l’acqua ne deriva un impasto poco estendibile, anche se spesso viene utilizzata, dopo essere stata rimacinata, per la panificazione.

Inoltre, mantiene meglio la cottura di quella di grano tenero, grazie alla sua capacità di trattenere l’amido, è molto proteica e ricca di glutine. E questo ne permette una migliore conservazione nel tempo e un ridotto indice glicemico.

In sintesi, possiamo affermare che la pasta di semola di grano duro, prodotta ad arte grazie a processi produttivi che prevedono la trafilatura al bronzo e una lenta essiccazione, è la scelta migliore per un’alimentazione sana e ricca di gusto.

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La Società Agricola BioFan è stata fondata nel gennaio 2020 a Gualtieri (RE) da Antonella appassionata di piante, fiori, orto e cucina e da Francesco esploratore della natura e della vita.

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