Pizza rotonda in forno a legna

di Matteo

Se si fa in quattro per renderti felice, è una pizza. (Anonimo)

Porzioni:

3

Pronta in:

45 min

Ingredienti

400 gr di farina di grani antichi macinati a Pietra Biofan Tipo 1
100 gr di farina di grani antichi macinati a Pietra Biofan Tipo Integrale
350 ml acqua
12 gr sale
1gr lievito fresco (0,5 secco)

Preparazione

  1. Versare la farina e l’acqua in una ciotola, sciogliere il lievito, aggiungere il sale e mescolare tutto insieme fino a togliere tutti i grumi.
  2. Dobbiamo arrivare ad avere un composto anche se non impastato ma ben miscelato.
  3. Coprire l'impasto in modo che non perda umidità e non si secchi (ad esempio coprendo la ciotola con una pellicola trasparente).
  4. Mettere l’impasto in frigorifero e farlo riposare per una notte o (almeno 10 ore).
  5. Rovesciare l’impasto sul piano di lavoro, allargarlo (per rafforzare il glutine) con le mani e appallottolarlo.
  6. Mettere la pagnotta nella ciotola e metterla nuovamente nel frigorifero.
  7. Togliere l’impasto dal frigorifero 5 ore prima di realizzare la pizza, dividerlo in 3 parti (panetti rotondi e ben chiusi sotto) e posizionarlo in un contenitore.
  8. Infine pochi minuti prima della cottura prendere i 3 panetti e creare dei dischi circolari e poi farcire in base alla tipologia di pizza scelta.
  9. Per la margherita stendere la passata, aggiungere mozzarella a cubetti, olio e basilico.
  10. Poi cuocere in un forno a legna per 1 m 30 sec (circa)

Alle origini della ricetta:

La pizza ha origini orientali?
In quel periodo, nel Vicino Oriente, gli uomini, nata da poco l’agricoltura, capirono che cuocere sulla pietra polente di cereali tostati e macinati o di pane azzimo fosse un buon modo per mangiare qualcosa di davvero gustoso e originale. Grazie poi agli antichi Egizi, scopritori del lievito, la storia della pizza diventa tutta in salita. Con la lievitazione gli impasti di cereali schiacciati o macinati diventano, dopo la cottura, morbidi, leggeri, più gustosi e digeribili. E così si diffonde il pane. Inizialmente.
Pizza romana
Inventato il pane, il percorso a tappe della pizza continua nell’antica Roma. Qui, i contadini, dopo aver imparato ad incrociare i diversi tipi di farro conosciuti creando la farina (il suo nome deriva da “far”, che in latino vuol dire proprio farro), impastano la farina di chicchi di frumento macinati con acqua, erbe aromatiche e sale. E poi pongono questa focaccia rotonda a cuocere sul focolare, al calore della cenere. Bene: i napoletani non la prenderanno nel migliore dei modi, ma sono stati i romani ad utilizzare veri e propri dischi di pane per contenere pietanze sugose. Pizze rotonde, più o meno. Ma con gradi di parentela molto, molto lontani dalle pizze che si possono gustare oggi all’ombra del Vesuvio. Mancano, infatti, ancora tantissimi ingredienti, molti dei quali sconosciuti fino a secoli e secoli dopo. Nel VII dopo Cristo, con l’arrivo in Italia dei Longobardi, inizia a circolare un nuovo vocabolo gotico-longobardo: “bizzo”, talvolta detto “pizzo”. In tedesco “bizzen”. Ovvero morso. Ci siamo quasi.
Il termine pizza nei primi documenti storici
Da morso a boccone, da pezzo di pane a focaccia la sineddoche a catena è servita. Tanto che verso l’anno Mille si trovano i primi documenti ufficiali col termine “pizza”. Come in uno datato 1195 e redatto a Penne, in Abruzzo. O quelli della Curia Romana del 1300, dove si parla di “pizis” e “pissas” riferendosi ad alcuni tipici prodotti da forno, di quel periodo, nel centro-sud della penisola. Abruzzo e Molise su tutti. Napoli, ci stiamo avvicinando.
Si arriva a Napoli
Nel 1535, finalmente, nella sua “Descrizione dei luoghi antichi di Napoli”, il poeta e saggista Benedetto Di Falco dice che la “focaccia, in Napoletano è detta pizza”. Così diventa ufficiale: anche in Campania l’evoluzione della pizza non si è mai fermata. E la tradizione neanche. Come quella della tipica schiacciata di farina di frumento impastata e condita con aglio, strutto e sale grosso continua a incontrare il favore delle popolazioni del Meridione. In poco tempo, però, l’olio d’oliva prende il posto dello strutto, si aggiunge il formaggio e si ritrovano le erbe aromatiche. E così, agli albori del XVII secolo, fa la sua apparizione una ricetta dal maestoso profumo di basilico, la pizza “alla Mastunicola” (in dialetto, del maestro Nicola).
Ecco il pomodoro
Nel 1600 siamo davvero agli inizi della storia moderna della pizza. Pasta per pane cotta in forni a legna, condita con aglio, strutto e sale grosso, oppure, nella versione più “ricca”, con caciocavallo e basilico. Con la scoperta dell’America, poi, arriva il pomodoro anche in Italia e tutto prende un sapore diverso. Il pomodoro fu dapprima usato in cucina come salsa cotta con un po’ di sale e basilico, mentre più tardi qualcuno ebbe l’intuizione di utilizzarlo, inventando, così senza volerlo, la pizza come la conosciamo oggi. Pur senza mozzarella, che invece completa questa storia solo nel 1800. Lo stesso secolo in cui, ormai, la pizza è diffusissima nel popolino, ma non solo. A gustarla volentieri sono anche baroni, principi e regnanti, tanto che finisce sulle tavolate durante i ricevimenti dei Borboni, mentre Ferdinando IV la fa cuocere nei forni di Capodimonte.
La vera pizza napoletana
La prima ricetta della pizza come la conosciamo oggi è riportata in un trattato dato alle stampe a Napoli nel 1858, che descrive il modo in cui in quegli anni si prepara la “vera pizza napoletana”. Quando la città era ancora la capitale del Regno delle Due Sicilie, Francesco De Bourcard in “Usi e costumi di Napoli e contorni descritti e dipinti” arriva perfino a citare una sorta di pizza Margherita ante litteram, con mozzarella e basilico. Il pomodoro, poi, è ancora opzionale, mentre per i condimenti, si legge, si può usare “quel che vi viene in testa”. Ma verso la fine dell’Ottocento la pizza col pomodoro e mozzarella arriva addirittura in America grazie agli italiani che emigrano a New York e viene fatta esattamente come ne capoluogo partenopeo.
Pizza reale
Dopo che i pizzaioli napoletani avevano diffuso svariate qualità di pizza tra la popolazione, si arriva alla sua approvazione ufficiale nel 1889, in occasione della visita a Napoli degli allora sovrani d’Italia re Umberto I e la regina Margherita. E questo è davvero un capitolo prezioso per la storia della pizza. Durante la passeggiata nella città campana, i regnanti furono accolti da Raffaele Esposito, il miglior pizzaiolo dell’epoca che realizzò per loro tre pizze classiche: la pizza alla Mastunicola (strutto, formaggio, basilico), la pizza alla Marinara (pomodoro, aglio, olio, origano) e la pizza pomodoro e mozzarella (pomodoro, olio, mozzarella, origano), realizzata in onore della regina Margherita ed i cui colori richiamavano intenzionalmente il tricolore italiano. La sovrana apprezzò così tanto quest’ultima da volerne ringraziare ed elogiare l’artefice per iscritto. E l’unico modo per contraccambiare il gesto da parte del pizzaiolo fu quello di dare il nome della regina alla sua creazione culinaria: “Pizza Margherita”.
Dal Meridione alla conquista del mondo
Tra Ottocento e Novecento, parlare di pizza è ormai cosa normalissima. E nel tempo ne nascono varianti di qualsiasi genere, per tutti i gusti. La seconda ondata di diffusione, ad ogni modo, si ha dopo la Seconda Guerra Mondiale. La pizza esce dai confini del meridione d’Italia per sbarcare al nord e col boom industriale nel triangolo Milano, Torino e Genova migliaia di emigranti si spostano con le loro famiglie con i modi, gli usi e costumi a loro pertinenti. Incominciano pian piano a fare le prime pizze per i compaesani e via via con il successo ottenuto anche per la gente del posto. Negli anni Sessanta, poi, le pizzerie arrivano praticamente in tutto il Paese. E nel giro di qualche anno, in tutto il mondo. Dalla Cina al Medio Oriente, dall’Europa dell’est all’America del sud. Tutti non sanno più farne a meno.

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